• +39 347 8745605 segreteria@shinbudokai.it

Archivi del mese :

febbraio 2023

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Karate: seminario internazionale a giugno!

Dopo una forzata pausa di tre anni, riprende finalmente l’attività di formazione internazionale del nostro dojo e del nostro gruppo.
Kaicho Masahiro Kaneko, direttore della Kyokushin Kenbudokai o Kyokushin Kenbukai e cintura nera ottavo grado di karate, sarà in Italia dal 6 al 9 giugno per una serie di seminari a Mantova e a Pordenone.
Stay tuned for more infos!

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Esami di grado: il loro vero scopo

Congratulazioni ai nostri soci, piccoli e grandi, per aver perseverato nell’allenamento, conquistando un nuovo grado ma, soprattutto, acquisendo una maggiore comprensione delle proprie capacità e possibilità, mostrando con orgoglio davanti alla commissione esaminatrice, ai genitori e agli spettatori il risultato del loro impegno.

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Etica e efficacia delle tecniche nella difesa personale

Vorrei condividere con voi lettori il mio pensiero sul rapporto tra l’etica e l’efficacia delle tecniche nella difesa personale, raccontando un episodio di qualche anno fa, quando fui invitato a una esibizione di arti marziali.
Mentre nell’area di riscaldamento giocavo coi bambini del corso di jiujitsu, accanto a noi un maestro stava spiegando l’uso del coltello Karambit ai suoi allievi.
Aveva preso un ragazzo cintura bianca, muovendo il coltello davanti a lui in complicati svolazzi, a alta voce diceva ai suoi allievi: “Vedete? Gli taglio la fronte all’andata, poi gli occhi al ritorno, e ora la gola, poi lo sterno e sollevando la lama lo artiglio sotto il mento, così girando il coltello, con il dorso della lama gli rompo il naso!”.
Al che io esclamai: “Che cattiveria inutile, è già morto da cinque minuti!”, provocando una risata generale e riservandomi uno sguardo astioso dell’accoltellatore.
L’applicazione di una tecnica varia in base al contesto, e le tecniche potenzialmente pericolose sono riservate alle situazioni più estreme.
L’ideogramma “Bu” è l’immagine stilizzata di un uomo che afferra al volo una lancia scagliata contro di lui.
Questa immagine dovrebbe suggerirci molte cose, ma la prima, e più importante, è che le arti marziali sono discipline di difesa.
La seconda è che solo con grande abilità è possibile afferrare un oggetto scagliatoci contro, quindi è necessario un allenamento continuo, graduale e realistico per ottenere il dominio della tecnica.
La terza è che sarebbe meglio evitare che qualcuno ci scagliasse una lancia!
Lo scopo delle arti marziali è sviluppare il controllo: di sé, del proprio avversario e dell’ambiente che ci circonda.
Il karate stesso contempla nei kata classici numerose tecniche di controllo tramite torsioni, leve articolari e immobilizzazioni.
Certamente sono tra le tecniche più difficili da padroneggiare, ma rispecchiano comunque i principi del Bu-do, che diventa tale una volta che l’allenamento costante, esaustivo e estenuante hanno trasformato il jutsu, o metodo, in una via.
Quindi nel passaggio dal Bujutsu al Budo non si crea un percorso esclusivamente educativo, perdendo di efficacia, al contrario la tecnica verrà eseguita sempre meglio, con maggior controllo e precisione, permettendo a chi si immerga in questo percorso di utilizzare quella che sia più utile in ogni situazione, preservando la vita piuttosto che toglierla.
Questa idea è “la spada che dona la vita”, un ideale altissimo che va ricercato per gradi e che difficilmente potremo raggiungere in vita, ma il “do”, la via, è questa, e il fatto che altri prima di noi la abbiano percorsa allo stesso modo è segno della sua validità.

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Difesa personale e lotta a terra: realismo e realtà a confronto

Affronto questo argomento in maniera imparziale, perché pur detenendo diversi gradi in varie forme di karate ho anche approfondito lo studio delle tecniche di corpo a corpo attraverso il judo, il jujitsu, l’aiki-jujutsu e, infine il bjj.
Inoltre ho gareggiato in diverse discipline e continuo tuttora a confrontarmi, sia in Italia che nel corso dei miei viaggi, con alcuni dei migliori praticanti e maestri di jiujitsu brasiliano al mondo.
L’unica difficoltà che incontro ora è dare chiarezza e sintesi a un pensiero sviluppato in più di trenta anni di studio e pratica, chiedo al lettore un poco di pazienza e, se gli dovesse sembrare che io abbia tralasciato qualcosa, di venire a praticare insieme per ai miei allievi nel mio dojo, per poi discutere riguardo a qualsiasi punto di questo scritto, perché l’esperienza nelle arti marziali è sempre e solo personale.
Provengo da una scuola di judo che, per tradizione, ha una base notevole di lavoro al suolo, che nel Judo prende il nome di Ne-waza.
Quando, nel 2004, dopo sette anni dal mio ultimo torneo ufficiale di judo (terzo posto ai campionati italiani assoluti a Roma e ultima convocazione in nazionale) ho cominciato la pratica del jiujitsu brasiliano (conosciuto come BJJ, o Brazilian Jiujitsu) non lo ho fatto perché mi sentissi carente nella lotta al suolo, ma perché da subito ho trovato in questo stile un realismo che il judo di allora andava perdendo; e la ricerca del realismo nel combattimento è sempre stata il motore del mio percorso marziale.
Infatti il successo del jiujitsu della scuola Gracie al primo UFC, nel 1993, non mi stupì più di tanto, era invece la dimostrazione della superiorità e della validità non dello stile, ma degli allenamenti delle discipline di lotta su quelle percussive.
In quegli anni, e purtroppo in molti casi ancora in questi tempi, il karate, il kung fu e gli altri stili basati sullo studio e l’applicazione delle tecniche di percussione, si limitavano a allenamenti in cui veniva colpito il vuoto, le forme erano studiate per passare gli esami, il combattimento era controllato e la difesa personale subiva il fascino della “cultura della mossa”.
Nel tanto bistrattato Judo di allora (così come nella lotta e nel jiujitsu) la tecnica veniva invece studiata, analizzata e incorporata in forme di allenamento sempre più realistiche, fino al randori in palestra e alla competizione, per chi avesse voluto cimentarsi anche in questo aspetto dell’arte.
Intendo qui per realismo una forma di allenamento in cui siano simulati in maniera sicura e razionale quegli elementi, anche psicologici e emotivi, che lo avvicinano a un vero scontro, in particolare la possibilità del compagno di agire in maniera libera, e non convenzionata, alle tecniche che sta subendo.
Diventa facile capire che i lottatori sono avvantaggiati rispetto alle altre discipline, perché fin da subito provano le tecniche con un compagno dello stesso peso, poi via via si cimentano con le stesse contro compagni di altro peso e livello, studiando esattamente quello che poi applicheranno in combattimento.
Analizzando uno scontro individuale possiamo notare che il vincitore è colui che prende il sopravvento attraverso la padronanza del tempo e della distanza, e più quest’ultimo elemento viene a ridursi, più viene a ridursi l’efficacia delle tecniche di percussione.
Alcuni praticanti di arti marziali basate principalmente sulle percussioni amano spiegare ai loro allievi che, in caso di una lotta al suolo, è possibile liberarsi agevolmente attaccando gli occhi, la gola, i genitali o mordendo e graffiando.
Tralasciando la determinazione mentale e la forza fisica per “cavare un occhio” a una persona, e le infinite varianti di uno scontro senza regole, già ai primi tempi del mio percorso nel judo, da cintura blu, praticavamo in palestra lotte in cui era possibile eseguire queste tecniche, e, per lo più, provocavano una maggior rabbia in chi stava dominando la lotta piuttosto che una temporanea sospensione dell’attacco.
Aggiungo che ogni arte marziale è nata con un bagaglio variegato di tecniche su ogni distanza, e che solo lo sport coi suoi regolamenti ha creato tutte queste distinzioni tra gli stili che solo le MMA hanno superato.
Concludo con due considerazioni, la prima riguardante il come insegnare ai karateka queste tecniche.
Personalmente, oltre a consigliare ai miei allievi più esperti di comprare un GI e una cintura bianca e frequentare almeno due volte al mese il corso di BJJ della mia accademia, comincio a proporre le tecniche di lancio partendo dall’applicazione dei movimenti dei kata applicati al kumite.
Nei miei corsi di karate, e non solo in quelli di bjj, pongo molta enfasi sullo studio dei modi per attutire l’impatto di una caduta al suolo.
Per me infatti, e questa è la seconda considerazione, la lotta al suolo è l’ultima ratio di uno scontro individuale, soprattutto nella difesa personale, e nel corpo a corpo ritengo più utili le tecniche di proiezione, che possono avere effetti ben più devastanti.
Dopo di che spiego come controllare la persona che è stata proiettata, eventualmente come applicare una torsione o un soffocamento.
A questo punto spiego cosa potrebbe fare la persona che si trovasse a essere proiettata per difendersi dal controllo e così posso inserire il lavoro a terra in maniera razionale e graduale.

Andrea Stoppa
Sensei cintura nera quinto grado di karate
Maestro cintura nera secondo grado di jiujitsu brasiliano

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Karate: video

Più di quarant’anni di differenza di età e la stessa grande passione per il karate: Andrea e Francesco in allenamento insieme.

https://www.instagram.com/reel/ClPCU-eowp7/?igshid=YmMyMTA2M2Y=

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

L’individuo e il gruppo

Fare parte di una squadra, essere un allievo nel dojo, e un buon amico, tre aspetti del Budo e del Jiujitsu in particolare.

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Karate: lavoro a coppie

Noemi e Sara impegnate nel lavoro a coppie, indispensabile per lo studio della precisione e della distanza di combattimento.

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Jiujitsu: torneo bambini e ragazzi

Sabato 4 febbraio si è svolto a Pordenone, nei locali della ASD, il Torneo interno Tribe Jiujitsu per bambini e ragazzi delle sedi di Pordenone, Aviano e Venezia.

Pieno successo per questo evento il cui scopo principale era avvicinare i più piccoli alle gare, sperimentando le regole della competizione in un ambiente più tranquillo di una gara ufficiale, con la possibilità di fare più lotte nella stessa giornata.

Durante il torneo interno abbiamo voluto coinvolgere i genitori anche riguardo alla comprensione del regolamento agonistico del jiujitsu, spiegando loro anche aspetti pratici della gara, da come gestire l’attesa dell’incontro dei loro figli a quali documenti portare con sé.

La comunicazione con i genitori, e non solo con gli allievi, è fondamentale nella nostra accademia.