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marzo 2020

150 150 ASD Centro Studi Arti Marziali

Intervista a Sensei Stefano Agostini

Stefano Agostini è il mio Sensei di I-ken/Yi quan.
Lo conosco dal 2000 e per lungo tempo mi sono allenato al Budokan di Firenze.
Sensei è uno dei migliori studiosi, praticanti e combattenti europei di stili interni.

Infatti è tra i pochi, se non l’unico in Italia, a proporre un sistema di combattimento efficace e realistico basato sulle dinamiche di queste scuole.

Mentre molti presunti istruttori di stili interni si nascondono dietro alla ripetizione ottusa di forme più o meno artistiche, indossando splendidi pigiami satinati, senza sudare e nascondendo le loro incapacità dietro a vuoti paroloni in cui ricorre spesso la parola “energia”, Sensei Stefano non esita a indossare le protezioni e a praticare il kumite con chiunque.

La sua cultura, non solo marziale, come la sua passione per lo studio sono notevoli, vi consiglio di procurarvi i suoi libri editi dalle Edizioni Mediterranee: “Kung Fu Yi Quan, la boxe della mente “ e “I segreti delle arti marziali interne” e, se passate a Firenze, fermatevi presso il suo dojo, ne vale la pena!

– grazie della tua disponibilità Stefano, puoi presentarti ai nostri lettori?

R.: Mi chiamo Stefano Agostini, sono psicologo e psicanalista, ma da quasi

quaranta anni lavoro come insegnante professionista di Arti Marziali.

Ho praticato per circa 20 anni Karate Shotokan col M° Hiroshi Shirai,

e sono 5° Dan di Karate della Dai Nippon Butokukai.

In quel periodo ho praticato anche Judo, Kobudo, e Nippon Kempo.

Nel 1992 sono entrato nella Scuola del M° Kenji Tokitsu, e ho cominciato

il mio lungo viaggio nelle Arti Marziali Interne.

Ho praticato Tai Chi di diversi stili, Hsing I, Pa Kua, molti sistemi di Chi Kung, sono

stato uno dei pionieri europei e mondiali di Yi Quan, ho studiato Wing Chun di diverse

correnti, e BJJ con il primo campione italiano e caro amico, Roberto Galardi.

Sono stato anche il primo Italiano a seguire lo stile I Liq Chuan del M° Sam Chin,

e il primo Italiano a seguire in Giappone la Scuola Kuroda e il Metodo Hida.

Negli Stili Interni cinesi ho avuto diverse cariche, come responsabile italiano

ed europeo di diverse scuole, ma poi mi sono staccato da tutto questo, e

ora lavoro per conto mio.

Ho inoltre collaborato per molti anni con alcune importanti riviste del settore,

come “Samurai” e “Kung Fu Magazine”, e ho pubblicato per i tipi della “Edizioni

Mediterranee” due libri : “Kung Fu Yi Quan”, e “I Segreti delle Arti Marziali Interne”.

Attualmente dirigo il centro di Arti Marziali Budokan, di Firenze, e la mia

associazione, che si chiama “International Nei Jia Academy”.

– quando e perché hai iniziato le arti marziali?

R. : Ho iniziato a 12 anni. Ero sempre stato appassionato di Giappone e Arti Marziali.

Mi ero messo a cercare una palestra, e trovatala, avevo chiesto

alla mamma di venire a firmare l’iscrizione.

“Non si preoccupi, signora : in questa palestra non si è mai fatto male nessuno ! “
disse a mia madre, venuta per iscrivermi, il piccolo e famoso maestro di Judo, Elio
Sarti, uno dei pionieri della arti marziali in Toscana. Poi, quando la mamma fu uscita,
si alzò dalla scrivania e andò faticosamente verso la sala da allenamento, zoppicando
sulla protesi al ginocchio che gli avevano messo dopo un incidente di pratica.
Avevo 12 anni, e desideravo fare arti marziali da sempre. Sulla rivista Cintura Nera,
una interessante pubblicazione di Bologna, avevo letto un articolo su questa storica
palestra di Firenze, e finalmente ero riuscito a convincere i miei ad iscrivermi.
Mi ero comprato una borsa e un ottimo Judo-gi, e cominciai a frequentare il corso,
un po’ lontano da casa mia, senza disturbare oltre i miei genitori.
Oggi può sembrare strano che un ragazzino di 12 anni fosse così autonomo,
ma…erano altri tempi.
Il Judo mi piaceva, ma quello che veramente mi affascinava era la misteriosa stanza
dove facevano il Karate, un corso aperto solo ai maggiori di 18 anni.
Così, dopo un anno e mezzo, interruppi la pratica e decisi di aspettare la maggiore
età per fare quello che desideravo veramente.
A 17 anni cominciai a girare le poche scuole di Karate di Firenze, a leggere quello che
si trovava in giro, e a vedere qualche gara delle diverse federazioni, in modo da
essere sicuro di scegliere il posto migliore dove cominciare.
E finalmente, a 18 anni, cominciai la pratica del mio sogno, in una famosa scuola
affiliata all’organizzazione del Maestro Hiroshi Shirai, uno dei più grandi esperti al
mondo, che aveva scelto di insegnare in Italia.

– come hai scoperto gli stili interni?

R. : Nel 1982, una breve introduzione al Tai Chi Chuan, col Maestro Chang Dsu Yao, mi
aveva lasciato del tutto insoddisfatto, e piuttosto deluso della famosa arte cinese.
Nel 1992 accadde però qualcosa che doveva rivoluzionare completamente la mia
pratica.
Avevo seguito con molto interesse la pubblicazione di una serie di appassionanti
articoli sulla rivista Samurai, che descrivevano il lavoro di un giovane Maestro
giapponese, Kenji Tokitsu, venuto dalla mia stessa scuola di Karate, ma poi salpato
per altri misteriosi e affascinanti lidi.
Alla fine, decisi di andare a trovarlo a Milano, partecipando a uno dei seminari
italiani della sua scuola.
Il lavoro che feci in quei due giorni mi lasciò davvero senza parole : Tai Chi, Karate
classico di Okinawa, Yi Quan, Tai Ki Ken, Chi Kung, tutto proposto con una coerenza
globale, un’unità di principi, e un rigore di ricerca senza paragoni.
Comprai dieci copie del manuale tecnico della scuola “Shaolin Mon”, tornai a
Firenze, le regalai alle mie cinture nere e comunicai che da quel momento avrei
seguito il Maestro Tokitsu e la sua organizzazione, ricevendo reazioni diverse :
qualcuno decise di seguirmi, e qualcun altro se ne andò sbattendo la porta.
Ma io non potevo fare altrimenti : avevo “riconosciuto” quello che avevo cercato
per così tanti anni.
Cominciarono anni di studio “matto e disperatissimo” : c’erano tantissime cose da
imparare.
Due stili di Tai Chi, Chen Tsung e Chen, il lavoro energetico, i Kata di Karate di
Okinawa, lo Yi Quan e il Tai Ki Ken, il Ken Jutsu interno della Scuola Kuroda.
Avevo trovato la mia strada.

– e’ cambiato il tuo modo di allenarti a quando hai iniziato a praticarli?

R. : Quando cominciai a praticare i veri stili interni, il mio corpo
cominciò a rifiutare il Karate esterno che avevo fatto fino a quel momento : non
riuscivo più a muovermi in un certo modo.
Con questo non voglio dire che un sistema sia superiore all’altro : è una questione
di scelta, a volte determinata da svariati fattori. Il gusto personale, l’età, il tempo a
disposizione, e, non ultimo, il talento che si può manifestare per l’una o l’altra
scuola.
Ma mentre gli stili esterni sono molto chiari e comprensibili, la scuola interna ha
caratteristiche meno ovvie, e i problemi e talora gli egoismi legati alla trasmissione
hanno fatto sì che a volte l’apparenza abbia sostituito la sostanza, e quelli che
dovevano essere gli elementi di base, siano stati così nascosti o dimenticati da
essere diventati “segreti”.
Per questo ho scritto il mio ultimo libro : “I Segreti delle Arti Marziali Interne”,
dove spiego in dettaglio quello che ho capito in tanti anni.

– cosa pensi possa dare la pratica degli stili interni a chi pratica karate o Jiujitsu brasiliano?

R. : Il primo obiettivo degli Stili Interni è costruire una nuova conoscenza e una nuova

gestione del proprio corpo.

Si usano biomeccaniche diverse, che di solito sono improntate a dei principi di economia

energetica, e che quindi diventano particolarmente preziose con l’avanzare dell’età,

quando la forza fisica diminuisce.

Sicuramente direi che, a prescindere dalle scelte individuali, una maggiore comprensione

del funzionamento e delle possibilità del corpo porta a risultati migliori e più

proiettati nel futuro.

– quali sono gli obbiettivi della tua scuola?

R. : Nella mia scuola cerco di trasmettere agli allievi i principi e le tecniche degli Stili Interni

usando una didattica particolare, elaborata da me negli ultimi venti anni, che utilizza i punti

sinergici dei vari stili per raggiungere una comprensione più completa, profonda e veloce.

Oggi la didattica è essenziale, perché nessuno pùò più dedicare 5-6 ore al giorno alla

pratica, come nei tempi antichi, ma dobbiamo cercare di arrivare almeno alla stessa

comprensione con 2-3 lezioni alla settimana. Naturalmente portate avanti per alcuni anni,

come un Corso di Laurea, o di Conservatorio. Si tratta pur sempre di Arti profonde e

complesse.

– hai un anedotto divertente riguardo ai tuoi anni di pratica?

R. : Ce ne sarebbero parecchi, ma la maggior parte non si può raccontare. Ma uno sì.

Eravamo a Pechino nel 2000 per conoscere alcuni famosi Maestri di Yi Quan.

Tramite alcuni amici venimmo portati allo Zoo di Pechino, dove uno di loro

faceva il guardiano, era il famoso Wang Hong Xian. Wang ci ricevette negli

spogliatoi sotterranei dei guardiani, e la persona che ci accompagnava ci

stupì subito perché lo salutò inginocchiandosi e baciandogli la mano.

Dopo cominciammo a parlare, e a un certo punto Wang disse che mi avrebbe

fatto sentire la forza della sua spinta : mi mise le mani sul petto ed emise

un falì, un’onda di forza.

Bene, entrando avevo visto gli armadietti metallici dello spogliatoio dietro di me, e

quando mi sentii sollevare da terra e cominciai a volare, mi ricordo che pensavo :

“ Speriamo che sull’armadietto non ci sia la chiave…speriamo che non ci sia la

chiave…speriamo che non ci sia la chiave…..

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I nostri soci: Luca Gravina, dalla Thai Boxe al BJJ

Luca parla poco, e combatte in silenzio, accettando sempre qualunque sfida o avversario.
Si è formato in una disciplina durissima come la Muay Thai, è interessante il suo passaggio all’arte della flessibilità, il jiujitsu, disciplina in cui ha portato la sua passione per l’essenzialità e l’efficacia delle tecniche.

– Ciao Luca, hai una storia “marziale” piuttosto particolare, ci puoi raccontare qualcosa di più?

Ho sempre amato lo sport, da ragazzno ho giocato a calcio e poi ho praticato dai 15 anni ai 18 anni il body building.
Ho iniziato la pratica delle arti marziali nel 2006 presso la Kombat gym di Fiume veneto a 18 anni.
La passione per le arti marziali e i combattimenti li ho sempre avuti da bambino ma allora c’erano poche palestre e non esisteva ancora nessun luogo in cui praticare la Muay Thai.

Sono stato affascinato come molti credo da questa disciplina come tanti avendo guardato da ragazzino alcuni film di Van Damme primo su tutti il famoso “KickBoxer”!

Ho continuato con la muay thai per circa 10 anni e ho disputato circa 30 combattimenti, gli ultimi in classe A (professionismo).
Nei periodi morti in cui non combattevo di muay thai praticavo il pugilato dove ho disputato circa 4 incontri tali da non perdere il ritmo delle gare e anche per perfezionare la mia tecnica di braccia.

Sotto la guida di Gianbattista ho conosciuto diversi atleti e campioni che passavano per la palestra ma la mia svolta è stata con l’arrivo del famoso combattente thailandese Kaopon Lek, pluricampione mondialeche non ha bisogno di presentazioni.
Purtroppo il bel periodo è finito con il trasferimento di Kaopon Lek a Milano.

Mi sono sentito innanzitutto tristeper aver perso un amico e un maestro, poi mi era venuta meno la voglia di combattere non avendo più in palestra nessuno che volesse continuare la pratcia della Thai boxe.

– Come sei arrivato al jiujitsu?

Finita la parentesi Kombat Gym mi sono allenato un po’ dove capitava per circa un anno, poi ho iniziato ad interessarmi alla lotta a terra di cui avevo visto qualcosa nei vari galà dove combattevo, in cui erano compresi alcuni incontri di grappling o mma .
Girovagando online trovavo molte recensioni sul jiujitsu brasiliano che spiegavano esser la base delle mma moderne così decisi di capire se nella zona ci fossero accademie che lo insegnassero.
Tramite il sito della ASD centro studi arti marziali venni a conoscenza dell’accademia del maestro Stoppa, che avevo conosciuto all’inizio della mia carriera presso la Kombat Gym.
Decisi così di chiamare il maestro per chiedere di poter prender parte ad una lezione.
Arrivato in palestra vidi che era in corso un seminario del maestro Jamelao, chiesi ad Andrea se potessi rimanere a guardare e i moduli d’iscrizione, e il giorno dopo mi presentai in palestra con moduli compilati, retta pagata e presi parte alla prima lezione di jiujitsu!

– Dopo anni di Muay Thai, una tra le discipline di combattimento più dure al mondo, cosa ti ha colpito del bjj?

La cosa che mi ha colpito del jiujitsu da subito (e per quello che vedevo online) era la sua capacità di rendere semplici le cose, il suo modo di trovare soluzioni che ti permettessero di sopraffare un avversario senza troppa fatica, insomma puntava all’efficacia più che a cercare mille “mosse”.
Mi innamorai subito della pratica e da allora ho continuato con la pratica diventando oggi cintura Viola sotto la guida di Andrea e tutta Tribe Jiujitsu.

– i tuoi obbiettivi per il futuro?

Proseguire nella pratica fino alla cintura nera, e oltre, insieme ai miei amici e compagni di corso.

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Allenamento al makiwara

Esistono diverse forme di maki wara ( letteralmente “paglia arrotolata”), questo usato da Sensei Andrea è uno dei modelli da lui auto costruito, adatto all’allenamento all’aperto.

Sensei Andrea usa il makiwara da più di venti anni, pertanto la forza dell’impatto e il modo di utilizzarlo sono diversi rispetto al modo di usarlo di un principiante.

Il makiwara non rinforza solo i polsi ma migliora anche la presa.

Il leggendario judoka Kimura ne incominciò la pratica perché aveva realizzato che rispetto ai judoka che usano principalmente quattro dita nel fare le prese sul gi, senza usare il pollice, i karateka chiudevano completamente il pugno nel colpire il makiwara, usando tutte e cinque le dita.

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Intervista a Federico Tisi

Dal momento che Federico è il mio Maestro di Jiujitsu Brasiliano, come gli ho detto anni fa, allora è anche il maestro dei miei allievi.

Di lui apprezzo l’onestà, la professionalità e la passione per il Jiujitsu inteso come “arte”, un processo di trasformazione del corpo e della personalità per tirare fuori il meglio del praticante in competizione, in combattimento o nella vita quotidiana.
Buona lettura:

– grazie della tua disponibilità Federico, puoi presentarti ai nostri lettori?

Grazie a te Andrea, mi chiamo Federico Tisi, ho 46 anni e sono un insegnante professionista dello stile brasiliano di Jiu Jitsu. Ho fondato nel 1999 la prima Accademia totalmente italiana di Jiu Jitsu brasiliano , La Tribe Jiu Jitsu, che oggi conta una trentina di filiali in tutta Italia . Tengo seminari in Italia ed all’estero e sono Presidente Onorario dell’Unione Italiana Jiu Jitsu.

– quando e perché hai iniziato le arti marziali?

Ho iniziato a praticare le arti marziali in quarta elementare con un corso doposcuola di Judo per bambini, perché ero vittima di bullismo a scuola.

– come hai scoperto il Jiujitsu brasiliano?

Ho scoperto il jiu jitsu brasiliano verso la metà degli anni novanta negli ambienti del jeet kune do, disciplina non tradizionale che in quell’epoca stavo studiando. Vidi una cassetta delll’ UFC 2 e poco tempo dopo partecipai ad un seminario tenuto da un maestro americano della disciplina a roma, ed è proprio li che provai le primi tecniche di base al suolo. Da allor anon ho mai smesso di praticare.

– e’ cambiato il tuo modo di allenarti da quando hai iniziato a praticarlo?

La pratica quotidiana vera e propria non è cambiata molto. Sto attento al mio corpo e cerco di imparare e di lottare il più possibile. Tuttavia oggi pratico ed insegno con molto più buon senso , rispettando di più il mio corpo e con finalità più ampie rispetto a quelle che avevo quando avevo vent’anni.

– cosa pensi possa dare la pratica del Jiujitsu?

Sicuramente una capacità di mantenere la lucidità mentale in condizioni di forte stress psicofisico ed anche una maggiore sicurezza in se stessi, derivante da tante ore passate nel confrontarsi veramente con i propri compagni di allenamento e con i propri avversari in gara.

– sentiamo spesso parlare di una “filosofia” o di uno stilendi vita legato al Jiujitsu, secondo esiste?

Secondo me chi vive quotidianamente una passione, in modo completo e ne fa uno strumento di sviluppo personale a 360 gradi finirà per sviluppare spontaneamente uno stile di vita intorno a quella pratica specifica. La cosa importante è che questo stile di vita sia effettivamente positivo per lo sviluppo personale di chi lo adotta, e che di conseguenza abbia ripercussioni positive anche sull’ambiente che lo circonda. Che poi si parli di scacchi, ciclismo, o arti marziali ,poco importa.

– quali sono gli obbiettivi della tua scuola?

Gli obbiettivi della mia scuola sono quelli di proporre una visione ed una pratica del jiu jitsu a 360 gradi a tutti i nostri studenti, senza trascurare gli aspetti agonistici della disciplina e quelli dell’arte marziale vera e propria. Questo obbiettivo viene perseguito ad un’attenta formazione dei tecnici Tribe su tutto il territorio nazionale.

– hai un anedotto divertente riguardo ai tuoi anni di pratica?

Ricordo che nel 1999 ho incontrato a Los Angeles il Maestro Carlson Gracie in occasione di un allenamento a porte chiuse con alcuni esponenti del suo famigerato team. Avevo appena preso la cintura blu ed ero il meno graduato presente. Ero molto nervoso, ma Carlson mi accolse con inaspettato calore. Dopo un duro allenamento diede un passaggio a me ed alla mia fidanzata dell’epoca a Venice Beach. Durante il tragitto mi confessò di amare la musica pop italiana, e mi costrinse a cantare insieme a lui a squarciagola ” Questione di Feeling” di Mina e Cocciante. Non penso lo dimenticherò mai.

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I nostri soci: Fabio e la ricerca del Budo

Fabio è un “Khsatrya”, in lingua sanscrita un guerriero, ma anche un cercatore.
Cercare oltre, scavare a fondo, dubitare di sé e trovare nuove vie, questo in realtà è il Budo.
Buona lettura

– Ciao Fabio, presentati ai lettori.
Sono nato a Pordenone nel 1991 e ho sempre vissuto a Cordenons. Pratico karate dal 1998, prima nella sua variante “sportiva” poi, nel 2018, sono passato al karate Kyokushin Kenbukai nella palestra del Maestro Andrea Stoppa.

– Perché hai scelto di iniziare la pratica del karate da piccolo?
Può sembrare una barzelletta ma volevo semplicemente imparare a fare l’onda energetica di Goku, il protagonista di Dragon Ball, immaginate la delusione quanto scoprii che non sarebbe stato possibile. Ero un bambino di prima elementare, ho stressato mia madre finché non mi ha portato alla mia prima lezione.

– Cosa ti ha spinto a continuare la pratica per tutto questo tempo e perché hai deciso di cambiare stile?
Le motivazioni chiaramente cambiano con l’età: da piccolo era semplicemente quasi l’unico sport che mi piacesse praticare, in aggiunta a questo ho avuto la fortuna di praticare per molti anni assieme a qualche amico d’infanzia, il che ha ovviamente aiutato.
Crescendo mi sono sempre più appassionato al gesto tecnico, dovuto anche al fatto che nella mia vecchia palestra si praticasse soprattutto kata (forme predefinite eseguite senza un avversario reale) per la partecipazione alle gare, e ho iniziato a intendere le arti marziali come un metodo per proteggere gli altri e me stesso in caso di necessità.
Passati i vent’anni e raggiunto il terzo dan ho iniziato a collegare il gesto tecnico con una dimensione mentale più che fisica rendendomi successivamente conto però che mancava qualcosa. Col tempo infatti mi sembrava che il mio karate fosse arrivato al termine di un percorso che non avrei potuto continuare se non cambiando radicalmente stile e metodo di pratica.
Qualche anno fa conobbi il Kyokushin attraverso un compagno di allenamento e successivamente Youtube, mi feci una scorpacciata di video dei mondiali in Giappone assistendo ai combattimenti di atleti del calibro di Matsui, Midori, Kazumi, Hug (grazie al quale mi appassionai anche al K1 World Gran Prix) e altri che, col tempo, divennero per me dei veri e propri eroi. Spinto dall’entusiasmo decisi di partecipare ad uno stage tenuto da Kancho Gerard Gordeau presso la palestra del Maestro Stoppa e mi innamorai di quel modo di intendere il karate, tanto che al termine dell’allenamento gli dissi che avrei partecipato ai corsi già dalla settimana successiva. Il Maestro però mi disse di pazientare (la mia idea era di iniziare la pratica del Kyokushin senza però abbandonare il mio vecchio stile) poiché un cambio così radicale andrebbe affrontato all’interno di un percorso di anni e con serietà. Continuai quindi a praticare il mio vecchio stile per un paio d’anni finché, spinto dalla mancanza di stimoli in quell’ambiente e dal tarlo del Kyokushin ancora ben presente, decisi di iscrivermi alla nuova palestra (fine agosto 2018).

– Cosa ha significato ripartire dalla cintura bianca dopo tutti quegli anni di pratica?
Non sono mai stato attaccato ai gradi (penso che la cintura serva solo a tenere chiusa la giacca del karategi, sempre che non sia già provvisto di laccetti), quindi mi è sembrata una cosa assolutamente naturale e scontata; è stata semmai un’occasione per rimettermi in gioco, uscire dalla zona di comfort che mi ero creato e trovare nuovi stimoli.

– Cos’hai trovato nel Kyokushin che prima ti mancava?
Ho capito cosa volesse dire combattere davvero, con un avversario che non si ferma dopo aver fatto un punto, che ti mette pressione e che fondamentalmente vuole farti del male (in gara o nella vita reale). Ora ho la sensazione di sapermi davvero difendere in caso di necessità.
La pratica a contatto pieno mi ha permesso di diventare più consapevole delle mie potenzialità e più sicuro di me stesso in ogni ambito. Allo stesso tempo ho però rafforzato la convinzione che il combattimento nella vita reale va evitato finché possibile.
Qui il karate viene praticato in maniera più approfondita e stimolante, ogni tecnica viene analizzata e sviluppata in modo che anche un allenamento composto da un solo pugno sia interessante e costruttivo.
Dopo il passaggio definitivo alla Kyokushin Kenbukai con Kaicho Masahiro Kaneko poi, la pratica è ulteriormente cresciuta di livello grazie all’utilizzo ormai regolare durante gli sparring dei pugni al viso (contrariamente a quanto avviene nel Kyokushin classico in cui non sono contemplati) e alle sessioni di allenamento concernenti gli stili interni (I-Ken) atti allo sviluppo di un modo diverso di utilizzare il corpo e la mente.

– Da poco hai iniziato a frequentare il corso di Jiu Jitsu Brasiliano, perché questa scelta?
Le discipline lottatorie non mi hanno mai attirato e ho sempre preferito quelle percussive, col tempo però, anche grazie ai consigli del Maestro Stoppa, ho capito che se volevo ampliare il mio bagaglio tecnico nel combattimento e diventare più completo avrei dovuto per forza di cose approcciarmi ad una disciplina come il Jiu Jitsu Brasiliano.
Il mio primo allenamento fu un seminario tenuto dal Professor Federico Tisi nella nostra palestra il quale, grazie alla sua efficacissima didattica, mi fece da subito piacere la disciplina, mettendomi di fronte ad un modo per me totalmente diverso di intendere il combattimento e facendomi superare le perplessità iniziali.
Da lì continuai a frequentare il corso con una frequenza più o meno quindicinale e non posso nascondere che ormai la pratica del Jiu Jitsu è per me gradita e stimolante tanto quanto quella del karate.

– Che obiettivi hai per il futuro?
Imparare. Sento di aver iniziato un percorso che mi sta dando ottimi frutti ma so di essere all’inizio.
Prossimamente mi piacerebbe andare in Giappone ad allenarmi con il Maestro, consolidare le mie basi nel Jiu Jitsu Brasiliano e diventare un combattente il più completo possibile.

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I nostri soci: Martino e il Karate

Martino è un budoka dal primo giorno in cui è entrato in palestra, è educato, sempre presente, coraggioso e pronto a aiutare.
Con piacere riportiamo una breve conversazione insieme:

– Ciao Martino, puoi dire qualcosa di te ai lettori?

Sono nato a Pordenone, classe 1977, e ho sempre vissuto qui.
Da sempre appassionato di arti marziali, soprattutto quando da bambino, come tutti quelli della mia età, ho visto il film “The Karate Kid”.
Seppur amante da sempre del karate, ho iniziato a praticarlo piuttosto tardi, cioè all’età di 35 anni.

– Che cosa ti ha spinto a iniziare a praticare il Karate?

Non nascondo che ero inizialmente affascinato dalla disciplina soprattutto per l’aspetto più “scenico”, oltre che per la sua utilità nell’autodifesa, ma oltre a ciò sono sempre stato attratto dalla cultura orientale, essendo una di quelle persone cresciute tra gli anni ’70/’80 con i cartoni animati giapponesi.

Poi c’era la voglia di applicare il Karate in combattimento per misurare il mio livello contro un avversario non collaborativo.

– A questo proposito il tuo primo impatto con una scuola di karate fu piuttosto strano, vero?

Esattamente!
Cercavo il dojo del Maestro Stoppa, ma per caso capitai in quello al piano superiore della stessa struttura, dove mi fu detto che non avrei potuto praticare il combattimento, nemmeno in palestra, perchè “troppo vecchio”, a 35 anni!
Fortunatamente, trovai la palestra giusta, mi presentai a Sensei Andrea e da lì cominciò il mio percorso.

Nel dojo di Sensei si studia il karate in maniera completa, e si è sempre data molta importanza al combattimento, praticato con diversi gradi di intensità a seconda del livello dei praticanti.

Sono poi riuscito a prendere parte a alcune competizioni, e mi sono reso conto che il combattimento del karate è soprattutto una questione di controllo mentale, sotto la spinte della pressione di vero combattimento, senza protezioni e a contatto pieno, con il pubblico a guardare, costringendomi a agire immediatamente ed in maniera efficace per mettere l’avversario K.O.

La mia visione via via è cambiata: la fretta di conseguire l’obbiettivo della cintura nera ha lasciato spazio esclusivamente alla voglia di imparare, di perfezionarmi nella tecnica, allenandomi duramente al dojo e confrontandomi con avversari spesso più giovani di me e più pesanti , e non solo durante i tornei.
Mi sono
detto: la cintura nera arriverà, diamo tempo al tempo.

– Cosa ti ha dato il Karate?

Mi ha cambiato nel fisico e nello spirito. Dopo circa 8 anni di duro allenamento sono riuscito a conseguire il diploma di 1° Dan, tra molte difficoltà, tra le quali la perdita di mio padre.

Nonostante tutto non ho mai smesso di perseverare ed allenarmi per conseguire la cintura nera, ma anzi il Karate mi ha
distratto dal dolore e mi ha aiutato molto.

– Quali sono i tuoi obbiettivi?

Personalmente, dopo l’obbiettivo del 1° Dan, molto importante per me perché ha coronato il sogno di una vita, non ho l’obbiettivo di allenarmi soltanto per proseguire di grado, ma per migliorare la mia tecnica, limandola, per affinare il mio karate.

La promozione è solamente il frutto di un duro lavoro, un riconoscimento degli sforzi, ma come ci è stato insegnato da Sensei Andrea Stoppa, se si smette di praticare Karate, il grado sulla cintura non rappresenta più le capacità di un budoka.

I prossimi obbiettivi sono quelli di aiutare la promozione della nostra associazione, magari coadiuvando Sensei Andrea Stoppa nell’insegnamento della disciplina; ed anche attraverso la pubblicità mediante i diversi canali social, per far conoscere questo sport affascinante e molto “pratico”, che, se
applicato attraverso un allenamento costante, oltre che insegnare un approccio al combattimento più reale e meno didattico, è uno sport validissimo che fa “star bene” a livello fisico e soprattutto mentale: quando entro al dojo, specie dopo giornate particolarmente dure per il lavoro o motivi personali, riesco a staccare la mente ed a lasciare i miei problemi fuori dal tatami.

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Kyokushin Kenbukai: rinviato seminario

Il seminario di Kyokushin Kenbukai con Kaicho Masahiro Kaneko è rinviato, si terrà infatti a Pordenone dal 19 al 21 giugno.

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I nostri soci: Andrea Corona e il BJJ

Con questa prima breve intervista a Andrea Corona cominciamo la presentazione di alcuni dei nostri soci più “anziani” e che collaborano attivamente nei corsi dell’associazione sportiva.

Andrea pratica jiujitsu brasiliano da ormai sette anni, è allenatore ACSI/CONI, studia diligentemente le arti marziali e coadiuva Andrea Stoppa nella gestione delle lezioni.

– Ciao Andrea, grazie della tua disponibilità, puoi presentarti ai lettori?

– Sono nato a Maniago (Pn), il 25 agosto 1983.

Ho cominciato a praticare arti marziali nel 2003, studiando Jeet Kune do e Kali filippino, grazie a una mia amica appassionata di queste discipline e del Giappone, che mi convinse a provare insieme a lei, nonostante io non provassi alcun interesse per queste discipline.
Fatto sta che lei smise dopo soli tre mesi, io invece continuai per dieci anni!

– Come ti sei avvicinato al Jiujitsu Brasiliano?

– Nel 2013, sempre grazie a un mio amico e compagno di allenamenti che era appassionato di incontri di lotta e MMA, sono venuto a sapere di un corso di BJJ a Pordenone.

La mia prima lezione fu in occasione di un seminario sulla guardia De la Riva insieme al Maestro Federico Tisi nella palestra di quella che è ora anche la mia associazione sportiva.

Avevo già preso alcune lezioni con un altro istruttore, ma lo stile del Maestro Federico Tisi e la serietà del Maestro Andrea Stoppa mi piacquero molto, decisi così di intraprendere lo studio del bjj iscrivendomi ai corsi della associazione.

– Cosa ti ha dato il jiujitsu?

– Il bjj mi piace in tutte le sue forme: competizione, difesa personale e lotte in palestra, e mi ha permesso di avere un maggiore equilibrio e più tranquillità nella vita quotidiana.

– Quali sono i tuoi obbiettivi?

– Continuare a fare jiujitsu il più a lungo possibile, arrivando a prendere la cintura nera insieme al maggior numero possibile dei miei compagni.

Mi piacerebbe anche aprire un mio corso in futuro, ma prima di assumermi questa responsabilità voglio migliorarmi come praticante, sotto la guida del Maestro Stoppa, e continuare a frequentare i corsi di formazione Tribe riservati agli istruttori con il Maestro Tisi.

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Allenamento per la mobilità delle anche

Un esercizio piuttosto impegnativo ma molto utile per la mobilità delle anche nel karate e nel jiujitsu brasiliano.

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Coronavirus: messaggio da Sensei Andrea

Cari studenti e genitori,

in questo momento difficile sono vicino a tutti voi con il pensiero e la preghiera.

Stiamo tutti coraggiosamente fronteggiando la tensione e la paura quotidiana insieme ai nostri cari.

Molti di voi hanno effettivamente affrontato le proprie paure salendo alcuni mesi fa sul tatami, ma alcuni di voi addirittura anni fa!
Infatti tutti voi, a seconda della vostra età, avete dovuto vincere paure, dubbi e difficoltà fino a quando avete eseguito con successo il primo salto, la prima proiezione, il primo pugno ( dato o preso) e il primo soffocamento ( ricevuto o usato con successo).

Con la stessa determinazione mantenete questo spirito, che è poi il significato di “OSU” (o “OSS”): perseveranza nelle difficoltà.

Molti di voi, grandi e piccoli, mi fanno sapere che continuano a allenarsi.
Questa vostra passione è per me motivo di gioia e orgoglio, e vi assicuro che anche io sto cercando di allenarmi quotidianamente per non sfigurare al rientro!

Vi abbraccio forte e vi aspetto in palestra il più presto possibile.

Sensei Andrea Stoppa