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Etica e efficacia delle tecniche nella difesa personale

Vorrei condividere con voi lettori il mio pensiero sul rapporto tra l’etica e l’efficacia delle tecniche nella difesa personale, raccontando un episodio di qualche anno fa, quando fui invitato a una esibizione di arti marziali.
Mentre nell’area di riscaldamento giocavo coi bambini del corso di jiujitsu, accanto a noi un maestro stava spiegando l’uso del coltello Karambit ai suoi allievi.
Aveva preso un ragazzo cintura bianca, muovendo il coltello davanti a lui in complicati svolazzi, a alta voce diceva ai suoi allievi: “Vedete? Gli taglio la fronte all’andata, poi gli occhi al ritorno, e ora la gola, poi lo sterno e sollevando la lama lo artiglio sotto il mento, così girando il coltello, con il dorso della lama gli rompo il naso!”.
Al che io esclamai: “Che cattiveria inutile, è già morto da cinque minuti!”, provocando una risata generale e riservandomi uno sguardo astioso dell’accoltellatore.
L’applicazione di una tecnica varia in base al contesto, e le tecniche potenzialmente pericolose sono riservate alle situazioni più estreme.
L’ideogramma “Bu” è l’immagine stilizzata di un uomo che afferra al volo una lancia scagliata contro di lui.
Questa immagine dovrebbe suggerirci molte cose, ma la prima, e più importante, è che le arti marziali sono discipline di difesa.
La seconda è che solo con grande abilità è possibile afferrare un oggetto scagliatoci contro, quindi è necessario un allenamento continuo, graduale e realistico per ottenere il dominio della tecnica.
La terza è che sarebbe meglio evitare che qualcuno ci scagliasse una lancia!
Lo scopo delle arti marziali è sviluppare il controllo: di sé, del proprio avversario e dell’ambiente che ci circonda.
Il karate stesso contempla nei kata classici numerose tecniche di controllo tramite torsioni, leve articolari e immobilizzazioni.
Certamente sono tra le tecniche più difficili da padroneggiare, ma rispecchiano comunque i principi del Bu-do, che diventa tale una volta che l’allenamento costante, esaustivo e estenuante hanno trasformato il jutsu, o metodo, in una via.
Quindi nel passaggio dal Bujutsu al Budo non si crea un percorso esclusivamente educativo, perdendo di efficacia, al contrario la tecnica verrà eseguita sempre meglio, con maggior controllo e precisione, permettendo a chi si immerga in questo percorso di utilizzare quella che sia più utile in ogni situazione, preservando la vita piuttosto che toglierla.
Questa idea è “la spada che dona la vita”, un ideale altissimo che va ricercato per gradi e che difficilmente potremo raggiungere in vita, ma il “do”, la via, è questa, e il fatto che altri prima di noi la abbiano percorsa allo stesso modo è segno della sua validità.