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Il pugno del karate: prima e ultima tecnica da padroneggiare

Sosai Mas Oyama, fondatore del Karate Kyokushin, amava dire che ci sarà un motivo se la disciplina che pratichiamo è stata chiamata “Kara-te” e non “Kara-ashi”!
Questo motivo è la maggior versatilità e efficacia nell’utilizzo delle tecniche di mano (“te”) rispetto a quelle eseguite con gli arti inferiori (“ashi”).
Tra queste tecniche del karate spicca, per immagine di potenza, il colpo eseguito a pugno chiuso.
Ora, la questione portata avanti da decenni dai praticanti di arti marziali e sport da combattimento, è se il pugno del karate sia efficace oppure no.
Cercherò di seguito di dare una mia interpretazione, basata come sempre sui fatti, che per me sono tali in seguito a:
1) allenamenti costanti
2) partecipazione a tornei di karate a contatto pieno
3) pratica del combattimento con esponenti di altri stili
4) analisi dell’efficacia delle tecniche percussive partendo dalla pratica di discipline prevalentemente di lotta.
5) studio e discussione con maestri di alto livello
La mia prima analisi riguarda quella azione che, per il praticante medio è lo “tsuki del karate”, in particolare l‘oi-tsuki, una tecnica eseguita compiendo un lungo passo in avanti e colpendo con il braccio corrispondente alla gamba avanzata.
Solo il karate, tra le arti da combattimento basate sulle percussioni, prevede questa azione.
Il motivo è chiaro se, facendo nuovamente una lettura del mio breve scritto sulla lotta al suolo, torniamo con la mente al modo in cui si vince uno scontro: rubando tempo e spazio.
Nello scontro senza protezioni, e senza guantoni, la distanza aumenta e spesso chi entra a contatto con la prima tecnica, sul bersaglio corretto, risulta il vincitore.
Per raggiungere la piena efficacia è necessario un allenamento esaustivo a vuoto, sui colpitori, in particolare sul makiwara, che non sviluppa solo forza ma precisione, eseguendo gli esercizi sul posto o, appunto, in movimento.
Padroneggiare una tecnica così complessa come oi-tsuki in zenkutsu dachi richiede anni di pratica, ma una volta assimilatane le dinamiche, essa può essere usata con estrema efficacia.
Non per niente uno dei più grandi campioni di MMA di sempre è Lyoto Machida, il cui stile evasivo e a lunga distanza ha rivoluzionato l’immagine del karate e dello shotokan in particolare.
Vale la pena riflettere sul significato della parola giapponese Tsuki, che è la stessa azione che si esegue con la spada, con bastone o la lancia, e corrisponde a una azione penetrante sul bersaglio.
Se la distanza lo permette è appunto questo effetto che si cerca di avere: penetrare sul bersaglio con tutto il peso e la velocità del proprio corpo in movimento.
Ora, se la distanza cambia, perché come sempre può cambiare il contesto, ad esempio perché si portano i guantoni, lo tsuki può risultare meno efficace.
Pertanto l’azione di tsuki si sostituisce con quella di “uchi”, o percuotere.
Nel kyokushin, ad esempio, “seiken ago uchi” (percossa al mento con le prime due nocche del pugno chiuso) non è altro che il jab del pugilato.
Concludendo: il pugno del karate è efficace, il modo di utilizzo e come allenarlo varia in base al contesto, ma la sua efficacia non si misura solamente con il suo uso vincente in una competizione.
Infatti il karate è nato per lo shi-ai (morte-vita), lo scontro decisivo in cui non c’è modo di correggere uno sbaglio, o di farsi salvare dallo scadere del tempo, dall’intervento dell’arbitro o dalle regole.
Il problema al giorno d’oggi è la scarsa conoscenza di kihon e kata, questo spesso accade perché la pratica del karate è limitata alle tecniche usate solo in competizione, a contatto o meno, ma anche perché l’allievo pratica mediamente due volte alla settimana, e l’insegnante stesso si allena poco, per lo più durante la lezione coi suoi allievi.
Spetta pertanto all’istruttore valutare come e cosa insegnare nel suo dojo, evitando di seguire le mode del momento, o di proporre tecniche e allenamenti che karate non sono, con esiti piuttosto ridicoli.